Genestrello – Via Romea
- Antico cimitero di Genestrello, eretto nel 1836
- Collinadetta “La guardia” (già teatro della Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana)
- Antica Strada Consolare Romea (nel Medioevo erano chiamate vie romee le strade che i pellegrini percorrevano verso Roma)
- Villa Lunati Pallavicino, sec. XVII (ospitò G. Garibaldi, N. Bixio ed altri patrioti durante il periodo risorgimentale)
Antico cimitero di Genestrello eretto nel 1836 ( Testo tratto da scritti del sig. Gian Pietro Scaglia)
Nel 1626 quando fu istituita la Parrocchia di Genestrello con il patronato di Cosimo Lunati, quest’ultimo dovette provvedere al luogo di sepoltura dei parrocchiani defunti. La soluzione, in concomitanza con le abitudini del tempo fu quella di costruire tre camere sotto il pavimento dell’Oratorio, dove già ve ne esisteva una adibita a sacello della famiglia patronale. In una visita pastorale del vescovo Mons. Pietro Cristiani nel 1761 scrisse questa testimonianza riguardo al cimitero sotterraneo conservata nell’Archivio Diocesano di Piacenza: “Vicino alla parta di detto Oratorio, alla mano destra un sepolcro per li huomini- a la mano sinistra un altro per le donne, più di sopra a la sinistra un sepolcro per li fanciulli- nel mezzo di detto oratorio un altro sepolcro particolare per Ill. Casa Lonati…”
Analizzando questa situazione si deduce chiaramente l’insalubrità di questo sistema che contravveniva alle più elementari regole di pubblica sanità e di conseguenza dimostrava la necessità della costruzione di un cimitero tradizionale.
In seguito, la promulgazione delle Regie Patenti, nel 1824, che imponevano la costruzione dei cimiteri al di fuori dei centri abitati, costrinse il Comune di Montebello ad esaminare la questione nella Parrocchia del Capoluogo e in quella di Genestrello. Per Montebello la scelta del terreno in cui costruirlo fu molto lunga e difficile, e subito ci si scontrò con il proprietario del terreno scelto (avv. De Ghislanzoni) , mentre per Genestrello ci si mosse ancora più tardi addirittura nel 1832 e anche lì ci fu l’opposizione del Marchese Antonio Lunati. In particolare il comune sosteneva che le spese di realizzazione del campo santo avrebbero dovuto essere sostenute esclusivamente dal marchese in quanto era stato lui stesso ad assumersi l’onere della nomina del parroco e del sostentamento dell’intera parrocchia. Il marchese dal canto suo affermava che le disposizioni d’ordine sanitario dovevano riguardare tutti i contribuenti ed anche lui avrebbe contribuito alla costruzione del Camposanto di Montebello. Così, per evitare cause legali il Marchese si dichiarò disposto a concedere gratuitamente un terreno di sua proprietà, denominato “la guardia”, già precedentemente scelto dal Comune.
La Guardia è il nome dato alla collinetta a ponente di Genestrello e molto probabilmente tale appellativo derivava dal fatto di essere la prima asperità a difesa dell’abitato.
Non riuscendo comunque a sciogliere la diatriba l’amministrazione comunale portò il contenzioso al Ministero dell’Interno di Torino. Finalmente il 1 giugno 1835 la Regia Intendenza di Voghera informò l’Amministrazione comunale della decisione del Ministero dell’Interno in particolare assegnò le spese di realizzazione dl cimitero completamente a carico del comune tenendo conto della disponibilità del Marchese di donare il terreno.
Nel 1836, proprio mentre era in corso un’epidemia di colera l’Amministrazione comunale di Montebello diede incarico al proprio sindaco l’ing. Beccaria di redigere il progetto. L’appalto per la costruzione del Camposanto di Genestrello fu assegnata al capomastro (residente nel luogo) sig. Pietro Zucchi genero di Alessandro Marchesi (agente del marchese Lunati nonché precedente sindaco).
Il collaudo dell’opera fu effettuato il 2 novembre 1836, e la benedizione ci fu il successivo 30 novembre. Il primo parrocchiano ad essere sepolto fu un neonato, il 13 luglio 1837.
Dalle memorie di Don Maiocchi, parroco di Genestrello ( 1869 – 1957 ) si possono conoscere le usanze dei parrocchiani in occasione dei giorni dei Santi e dei Morti.
Racconta Don Maiocchi che fin dal tempo della marchesa Pallavicino D’Argogna e dei suoi affittuari d’antica data “ si facevano grandiose e belle funzioni”. Nel pomeriggio del giorno dei Santi si celebrava un solenne Vespro, dove si cantava il “Magnificat”, mentre il rintocco delle campane ricordava i defunti. La Chiesa era gremita di fedeli, intervenivano dal “ Vaglio” , dalla “Cascinetta” e da tutte le case sparse della collina. Il mattino del giorno dei Morti, l”ufficio” iniziava alle cinque e i rintocchi del “Primo” erano alle quattro e trenta! Al termine dell’uffizio, il parroco offriva ai cantori la colazione di zuppa di ceci con salamini. Cominciava poi la questua della meliga. Il pomeriggio il Vespro era alle 14,30 con la predica fatta dal Pulpito. Seguiva la processione al Cimitero, risalendo la strada per Genestrello-alto e scenendo verso il fosso dei Gamberi. Al ritorno in Chiesa si dava la Benedizione e si metteva all’asta la meliga raccolta .
L’abbandono del Camposanto avvenne poi nel 1936.
Più recentemente (1973) “la Signora”, così era chiamata la contessa Peppi Coardi di Carpeneto Mazza, fece costruire un basso muretto perimetrale, con pilastrini e catena , e all’interno del Camposanto venne posta una lapide di granito che ricorda l’inizio e la fine dell’utilizzo del Cimitero. Nella scritta riportata su questa lapide vi è un errore in quanto la costruzione del cimitero è del 1836 e non del 1721 come ivi riportato.
In seguito, il passaggio di proprietà di tutti i terreni del Tenimento e dopo la morte della Contessa Mazza ci fu un continuo e lento degrado del luogo che vide la proliferazione di erbe e rovi che ancora oggi rendono poco identificabile tale area transitando sulla strada che da Genestrello conduce a Riccagioia.
Ultima curiosità riguarda la leggenda relativa all’albero della Piccola Vedetta Lombarda: il cimitero presso il quale erano appostati i soldati austriaci non poteva che essere quello di Genestrello in quanto era il più vicino al luogo in cui si trovavano le truppe tedesche.
Villa Lunati Pallavicino Mazza ( Testo Gian Pietro Scaglia )
Su una collinetta degradante verso la piana del Po, proprio dove la strada “Romea” viene a lambire la chiesa di Genestrello, sorge in alto fra il verde, l’armoniosa villa già dei Lunati, Pallavicino ed ora Mazza.
Si tratta di una notevole costruzione formante una “H”, con un corpo centrale, due ali verso nord ovest della medesima altezza ed altre due più basse sull’altro lato verso sud est.
E’ circondata da un vasto e bellissimo parco, comprendente anche un laghetto d’acqua sorgiva, situato nella parte bassa, nei pressi della chiesa.
Il fabbricato fu costruito all’inizio del 1600 sull’area d’una precedente casa padronale con una antica torre annessa, da Cosimo Lunati. In seguito subirà numerose modifiche, l’ultima delle quali nel 1935.
Fino al 1514, proprietario di Genestrello era il nobile pavese Francesco Antonio Minozzi (o Minacci) fu Cabrino, il quale nominava erede universale la propria figlia Anna Pacifica.
Questa andò sposa a Girolamo Lunati, d’antica famiglia nobiliare pavese.
Con il loro figlio ed erede Francesco, inizieranno 300 anni di permanenza a Genestrello della suddetta illustre casata.
Francesco Lunati è al servizio del Re di Spagna come Commissario Generale del Ducato di Milano, per la riscossione delle tasse sul possesso dei cavalli e sul sale.
Il suo pronipote, pure di nome Francesco, fu colui che la sera del 26 maggio 1643, alle ore 23, con uno stratagemma attirò in chiesa, a Montebello, il Parroco di quei tempi, Padre Floriano Marcellini, che stava passeggiando sulla piazza e giunti all’interno, davanti ad un altare, dal buio sbucarono Girolamo Bellocchio e Giuditta Lunati, con altre persone come testimoni e “rubarono” all’allibito Parroco il loro matrimonio, con lo stesso sistema che nei “Promessi Sposi”, Renzo e Lucia avevano tentato di fare con Don Abbondio.
Il figlio Antonio, nel 1692, è nominato marchese, con diritto di trasmissione del titolo alla discendenza maschile.
L’ultimo marchese Lunati, lui pure di nome Antonio, è nato nel 1792.
Era Imperial Regio Ciambellano di S.M. l’Imperatore d’Austria ed abitava a Milano in contrada del Lauro, al civico n°1805, Sempre veniva in villeggiatura a Genestrello, che per lui, si trovava a quei tempi in uno stato estero. Morì il 26/2/1840 a 71 anni per una polmonite, estinguendo la casata dei Lunati e lasciando erede la moglie, N.D. Camilla Besozzi Figliadoni. Questa, morta nel 1854, rispettando le volontà del marito, donò villa, terreni e tutto il patrimonio, all’Ospedale Maggiore di Milano.
Nel 1857 detto Ospedale vende la Tenuta di Genestrello al marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio.
Questo marchese era nato a Milano nel 1796. Condannato dagli austriaci per la sua appartenenza alla Carboneria, scontò 10 anni di carcere allo Spilberg in Moravia, in compagnia di Pellico, Confalonieri, Maroncelli ed altri italiani. Sposò Anna Koppmann, figlia del direttore del penitenziario. Dal loro matrimonio nacque la figlia, Anna.
Nella villa di Genestrello il marchese Pallavicino ospitò più di una volta. il generale Garibaldi e Nino Bixio.
Morì proprio a Genestrello il 4/8/1878. I funerali si svolsero nell’altra sua villa di S.Fiorano presso Codogno, l’8 agosto ed il corteo funebre partì da Genestrello alle cinque del mattino!
La figlia Anna, che aveva sposato il marchese Alessandro d’Angrogna, ereditò tutto il patrimonio paterno.
Ancora qualcuno del paese, qualche anno fa, la ricordava, quando già molto anziana, veniva a trascorrere qualche settimana a Genestrello e si faceva portare in carrozza a Montebello, in visita ai marchesi Bellisomi od a qualche altra famiglia nobiliare. Morì nel 1922 ed essendole premorti i propri due figli, lasciò erede il nipote conte Paolo Barbiano di Belgioioso, il quale nel 1923 vendeva la proprietà di Genestrello all’avv. Ettore Gazzaniga, già Ambasciatore d’Italia in Argentina ed alla di lui moglie Giovanna Pichetto di Buenos Aires. I coniugi Gazzaniga ed i loro due figli tennero Genestrello per una decina d’anni, poi per contrasti politici con il regime fascista, ritornano in Argentina e nel 1934 alienarono Genestrello all’ing. Adolfo Mazza, industriale, nato alla Calvenzana di Rivanazzano, e residente a Genova. L’ing. Mazza dà subito inizio a grandi lavori e su progetto dell’architetto genovese Crosa, trasforma la villa ed amplia notevolmente il parco. Anche l’Oratorio del palazzo, costruito nel 1608 e presso il quale venivano sepolti tutti i defunti di Genestrello fino al 1835, è magnificamente restaurato. Sono abbattuti tutti i fabbricati agricoli che chiudevano il gran cortile interno, al termine delle due ali verso sud, per ricostruirli poi ad ovest, fuori del muro di cinta del parco, dando così una nuova dimensione ed una notevole eleganza a tutto il complesso. E’ pertanto merito suo se nell’immediato anteguerra e poi dal ‘946 ai primi anni ‘970, Genestrello tornò agli antichi splendori. L’ing. Mazza morì nel 1956 a quasi 90 anni, lasciando Genestrello alla figlia Giuseppina, moglie del conte Paolo Coardi di Carpenetto. Verso la metà degli anni ‘980, la tenuta fu scorporata in quanto tutta la parte agricola, composta da terreni e cascine, fu venduta.
Pur essendo rimasta sola con il passare degli anni, la contessa “Peppi” tornava tutte le estati alla sua amata villa, finché nel 1990, cessò di vivere, lasciando proprietaria la nipote, signora Luisa Mazza.
Ed è da allora che Genestrello sta languendo, perchè Palazzo e parco sono pressoché abbandonati, mentre i caratteristici cascinali limitrofi alla via Emilia ed immortalati dal Bossoli nella famosa stampa riproducente la carica della cavalleria nel 1859, per incuria dei proprietari, stanno diroccandosi.
Le strade consolari romane
Le strade consolari sono quelle vie di comunicazione dell’ Impero romano fatte costruire per volere dei consoli per scopi militari o per ragioni economiche. Esse furono costruite dagli antichi romani per trasportare merci o per favorire il passaggio di carovane e soldati. Il loro tracciato con i secoli ha subito diverse modifiche, in genere prolungamenti.
Ad oggi, alcune di esse sono strade statali o regionali, altre conservano il loro antico manto in pietra e non vengono più utilizzate.
In particolare la via Emilia (via Æmilia) era una strada romana fatta costruire dal console Marco Emilio Lepido per collegare in linea retta Rimini con Piacenza .La sua rilevanza per i traffici commerciali delle aree che attraversava si è ripercossa fino ai tempi moderni: la strada statale SS 9 porta infatti lo stesso nome. Il tracciato odierno però non coincide sempre con quello antico, ed inoltre giunge fino al Milanese, terminando nel comune di San Donato.
La Via Aemilia si interseca a Piacenza ( Placentia ) alla Via Postumia che parte da Genova e termina ad Aquileia.