Genestrello
- Parrocchia Nostra Signora di Loreto, sec. XVII (costruita in seguito ad avvenuti presunti miracoli)
- Piana della Prima Battaglia della Seconda Guerra d’Indipendenza, 20 maggio 1859 (battaglia già dipinta da Carlo Bossoli)
- Antica Strada Consolare Romea
- Strada panoramica
- Presunto antico tracciato strada romana Postumia
- Cascina Monticelli, costruita dai Padri Gesuiti, sec. XIX
La parrocchia di Genestrello ( fonte Gian Pietro Scaglia )
La Chiesa di Genestrello, dedicata alla Madonna di Loreto, è stata costruita in seguito ad alcuni eventi miracolosi, avvenuti in quel luogo.
Nel 1200 il Comune era autonomo, ma la Parrocchia apparteneva a Montebello.
I residenti a quel tempo erano circa 50 persone, che abitavano in casette coloniche dette “da brazzanti”, alle dipendenze del feudatario. Il villaggio era sorto già parecchi secoli prima attorno ad una torre di avvistamento, sempre di proprietà dei Lunati, che serviva per controllare l’importantissima strada “Romera” (torre esistente fino al 1500).
In basso, confinante con questa strada, ve ne era un’ altra che saliva fino al Palazzo o Castello (così veniva chiamato a quei tempi). All’imbocco di questa strada vi erano due pilastri, dove un pittore, tale Domenico Bonvicini, dipinse su di essi rispettivamente l’immagine della Madonna Lauterana e di San Francesco.
Poco tempo dopo, di fronte all’immagine della Vergine avvennero numerosi eventi miracolosi, tra cui 20 presunte guarigioni: nomi e cognomi e le patologia dei “miracolati” sono conservati nell’Archivio di Stato di Milano.
Successivamente, nel 1608 il Signor Cosimo Lunati fece costruire, annesso al Palazzo, un oratorio, e fece anche erigere una piccola cappella, dove all’interno si trovava il pilastro miracoloso. Ingaggiò così un cappellano detto “mercenario” per potervi celebrare la Messa. Questo contrastava però con le norme ecclesiastiche allora vigenti, in quanto Genestrello apparteneva alla giurisdizione parrocchiale di Montebello e spettava pertanto ai frati Gerolamini dare questa autorizzazione. Allora il Priore del Monastero di Montebello (Padre Nazario Sassi), il parroco ed il sig. Cosimo Lunati, alla presenza del Vescovo della Diocesi di Piacenza (alla quale la Parrocchia apparteneva) stabilirono un patto per dirimere la controversia. Ma gli avvenimenti andarono in una direzione diversa da quella preventivata tanto che nel 1625 il Signor Lunati si rivolse direttamente al Vescovo di Piacenza ed al Generale dell’Ordine dei Gerolamini chiedendo l’autorizzazione per dar vita ad una parrocchia autonoma a Genestrello impegnandosi personalmente al sostentamento della stessa. La richiesta venne accolta, vennero stipulati nuovi patti, e nacque così la Parrocchia di Genestrello sottraendo parte di territorio a quella di Montebello.
L’anno seguente Cosimo Lunati decise di ingrandire la cappella, decisione condizionata dal fatto che la costruzione già mostrava numerosi segni di cedimento, dovuti al terreno ricco d’acqua.
Nonostante la recente costruzione la Chiesa necessitava di parecchie riparazioni, così il Signor Lunati richiamò l’ impresario Antonio de Melchioni (ticinese di Meride , presso Lugano) già impegnato nei lavori di ricostruzione del duomo di Voghera e gli commissionò l’edificazione della parte centrale e frontale della nuova parte di Chiesa. Il progetto fu opera di un ingegnere di Pavia: il signor Giovanni Domenico Lobia.
Nel 1627 si conclusero i lavori e l’edificio assunse le sembianze attuali. Nel 1677 poi l’immagine della Madonna dipinta sul pilastro venne sostituita da una statua in marmo bianco acquistata grazie alle offerte dei tanti devoti.
La chiesa, per il fatto di essere stata costruita su un terreno ricco di acqua ha richiesto negli anni ripetute riparazioni in quanto l’umidità risalente corrodeva gli intonaci. Nel 1826 il Marchese Antonio Lunati (ultimo nobile della casata) finanziò i lavori di restauro in particolare di imbiancatura e stuccatura dei due altari allora esistenti.
Originariamente il campanile era sopra la sacrestia e vi si accedeva dal piano superiore della canonica. Nel 1848 esso fu ricostruito dall’altro lato della chiesa (dove si trova attualmente). Essendo però piuttosto basso il Parroco don Antonio Maiocchi lo fece alzare dotandolo anche della terza campana (utilizzando quella che si trovava a Montebello sull’Oratorio del Marchese Bellisomi).
Nel 1933 sempre il Parroco don Maiocchi commissionò importanti lavori di restauro quali il rifacimento del tetto, del cornicione e degli intonaci. Inoltre furono chiamati per affrescare parte dell’interno i pittori Michele Frana di Gandino (Bg) ed il prof. Mario Maserati.
Altri importanti restauri furono quelli degli anni ’50 e soprattutto ’60 in cui il Parroco Don Bruno Rolandi fece rifare il pavimento oltre ad alcuni affreschi e fece costruire l’artistico portichetto sorretto da due colonne di granito a fregio dell’ingresso laterale. I fondi per questi lavori furono recuperati dalla generosità della famiglia dell’ing. Adolfo Mazza.
Purtroppo la Chiesa subì anche notevoli danni causati dal passaggio di numerosi eserciti, tra cui quello napoleonico che la saccheggiò e distrusse i registri parrocchiali dell’archivio. Anche durante la battaglia del xx maggio 1859 parecchie palle di cannone del’artiglieria austriaca finirono sul tetto e sul fianco sinistro dell’edificio.
Infine è opportuno ricordare che vi sono cenni storici di una chiesa più antica di ben quattro secoli rispetto all’attuale. Da quanto emerso in un libro dei “censi” (liber Censorum) compilato nel 1192 da Cencio Savelli (futuro Papa Onorio III) tale costruzione doveva essere posizionata a Genestrello lungo la strada Romea ed era dedicata a San Marco. Di tale costruzione se ne sono poi perse le tracce.
Seconda guerra d’indipendenza italiana
La battaglia di Montebello 20 maggio 1859 ( fonte Associazione Mumbel )
Nella mattina del 20 maggio 1859 il maresciallo Giulay mosse le truppe austriache sulla via Emilia, in direzione di Voghera, allo scopo di condurre una ricognizione offensiva sulla destra del fiume Po spinto dalla ripetute accuse di inazione e dal forte desiderio di “fare qualcosa”. La stessa idea sembra che avesse il generale Stadion, comandante del V corpo, incaricato dell’operazione. Dietro la falsa notizia che forti forze alleate avevano occupato Casteggio finì col dar scopo dell’operazione la loro cattura attraverso l’azione convergente di tre colonne. Ma la marcia non fu affatto sincrona. La colonna di sinistra procedente da Broni giunse per prima, la mattina del 20 maggio, a Casteggio che trovò sgombra, fece sosta in loco fino alle ore 11 poi procedette oltre fino a Genestrello. In quel luogo ci fu un primo tentativo di contenimento dell’avanzata austriaca ad opera dalla Cavalleria Sarda composta da squadroni di Monferrato, Aosta e Novara. Gli squadroni comandati dal generale De Sonnaz caricarono ripetutamente e riuscirono a trattenere l’esercito austriaco a Montebello. Le altre due colonne austriache arrivarono assai più tardi in vista di Casteggio. Alle 14 il generale Stadion ordinò a tutte le truppe di sostare nelle postazioni raggiunte rimandando al giorno dopo il proseguimento dell’operazione. In tal modo gli austriaci si trovarono disseminati in una vasta zona di pianura e collina. In Voghera si trovava il generale Forey, comandante della divisione d’avanguardia del I corpo Francese. Egli, avuto notizia di forze nemiche avanzanti da Casteggio, attorno alle ore 14,15 a capo della sua avanguardia, senza attendere l’arrivo di un’ulteriore cospicua parte della divisione, attaccò gli austriaci a Genestrello sostenuto validamente da alcuni squadroni della cavalleria piemontese. La fanteria francese avanzando da Sud della via Emilia superò il Fosso Agazzo e la Roggetta arrivando fino al fosso Mancapane dove fu arrestata dal fuoco del 3° battaglione Cacciatori austriaco; contrattaccata dallo stesso battaglione fu costretta a retrocedere fino al Fosso Agazzo. L’altro battaglione dell’84° fanteria francese fu impiegato a nord della via Emilia da tre compagnie e mezza del 39° reggimento di fanteria austriaco. Il terzo battaglione del 59° Fanteria austriaco che procedeva lungo la ferrovia non trovando nemici davanti a sé, diresse due compagnie su Cascina Nuova a protezione del proprio fianco destro. Con le restanti quattro compagnie eseguì un cambiamento di fronte sulla propria sinistra ed attaccò il terzo battaglione dell’84° francese obbligandolo a retrocedere. Si concluse così il primo scontro. Nel corso del pomeriggio dopo alcuni momenti trascorsi nelle proprie posizioni a ricostruire gli ordini di combattimento e in attesa di rinforzi l’esercito Francese riprese l’azione a Genestrello. Furono impiegate due brigate di fanteria quella comandata dal generale Beuret e dal generale Blanchard che, anche grazie all’apporto decisivo degli squadroni della cavalleria di Novara, riuscirono far indietreggiare l’esercito Austriaco fino a Montebello. Una volta perso Genestrello gli austriaci si disposero alla difesa di Montebello schierando tre battaglioni di fanteria in prima linea e, in seconda linea, due battaglioni di fanteria sei cannoni e due squadroni. Oltre a molte truppe di riserva. A questo dispiegamento di forze si contrappose la brigata Beuret ordinata in tre colonne d’attacco oltre alla brigata Blanchard. Si assistette quindi ad un primo attacco Francese che però non andò a buon fine. Attorno alle 17 vi fu un secondo attacco lanciato dalla Brigata Beuret che mise a dura prova la resistenza delle truppe austriache già provate dai precedenti attacchi costringendole alla ritirata all’interno dell’abitato. Mentre era in corso questo movimento due compagini di granatieri austriaci arrivarono a Montebello occupando la Chiesa parrocchiale e le case adiacenti. Intanto la brigata Blanchard avanzava nel piano concorrendo anche all’attacco di Montebello dove nel frattempo si svolgeva una lotta assai aspra. Intorno alle 18 gli Austriaci incominciarono a ritirarsi da Montebello effettuando la ritirata per scaglioni. Abbandonato il paese e ridotti a difesa estrema al cimitero (dove adesso sorge l’ossario Bell’Italia) furono risolutamente attaccati dai francesi. Un primo assalto fu respinto dalla fucileria e dall’artiglieria che sparava a mitraglia. L’assalto fu ripetuto dopo un intenso reciproco fuoco, dai francesi con un’azione degna delle migliori tradizioni della loro grande fanteria. In questa azione cadde colpito a morte il generale Beuret. Nel frattempo si svolse l’ultimo combattimento nei pressi della ferrovia. Le truppe francesi si difendevano nei pressi del fosso dei Gamberi. A risolvere la situazione accorse la cavalleria piemontese comandata dal tenente colonnello Tommaso Morelli di Popolo che grazie al suo attacco diede nuova linfa alle truppe francesi e insieme riuscirono a respingere il nemico austriaco. I cavalleggeri piemontesi subirono gravi perdite tra cui quella del Tenente colonnello Morelli di Popolo.
Le perdite complessive furono di 92 morti, 529 feriti e 69 prigionieri da parte francese; 17 morti, 31 feriti e 3 dispersi da parte piemontese; 331 morti, 785 feriti, 307 dispersi o prigionieri da parte austriaca.
Questa prima prova dell’esercito austriaco, ad onta di singoli episodi gloriosi, non fu di certo brillante. Da subito si parlò di “enigma di Montebello”. Certo la fanteria francese mostrò uno slancio ammirevole e una maggiore abilità tattica così come la cavalleria piemontese ma l’impiego da parte delle forze alleate di 6800 fanti, 800 cavalieri e 12 cannoni non giustificano la sconfitta austriaca considerando che quest’ultima si poté servire di un numero di forze circa tre volte superiore.
Questa prima vittoria franco piemontese ebbe grande importanza in quanto consentì ai loro eserciti di precedere le truppe Austriache sul Ticino conseguendo grande vantaggio per lo sviluppo futuro della guerra.
Possiamo quindi affermare con orgoglio che la battaglia di Montebello fu un passo essenziale nel proseguo della guerra e più in generale nel processo di unificazione dell’Italia.
Di questi episodi bellici vi sono tutt’oggi tracce a più di 150 anni di distanza ad esempio nelle mura esterne di alcune case del paese dove vi sono incastonate alcune palle di cannone e granate inesplose a perenne testimonianza di queste vicende.
Bibliografia:
Marziano Brignoli, Montebello 20 maggio 1859 –La prima vittoria. Gianni Iuculano Editore, 2001
Piero Pieri, Storia militare del risorgimento, biblioteca storia de “Il Giornale”.
Per approfondire l’argomento qui solo accennato riportiamo alcuni libri dedicati alla battaglia di Montebello del 1859:
Gianni Lomellini, La battaglia di Montebello (XX maggio 1859) EMI editrice in Pavia, 1989
Marziano Brignoli, Montebello 20 maggio 1859 –La prima vittoria. Gianni Iuculano Editore, 2001
Jean Marie Romain Moyersoen, Reggimento “Lancieri di Montebello” (8°), 2003
I Lanceri di Montebello ( fonte Wikipedia )
Il reggimento venne costituito il 16 settembre 1859 a Voghera come cavalleggeri di Montebello. Il nome deriva dalla Battaglia di Montebello del 20 maggio 1859, nella quale i franco-piemontesi sconfissero gli austriaci nel quadro della seconda guerra d’indipendenza.
La battaglia di Montebello fu il primo evento bellico importante della seconda guerra di indipendenza italiana. Fu uno scontro importante, perché dimostrò l’efficacia bellica delle truppe leggere dell’esercito sardo, le quali, dopo aver avvistato il nemico austriaco e segnalato ai comandanti della divisione francese, non si ritirarono ma riuscirono a respingerlo con numerose cariche.
A seguito di questa battaglia, i piemontesi, si distinsero talmente che venne istituito un nuovo reggimento di cavalleria, che ancora oggi è attivo, con il nome Lancieri di Montebello, unico reggimento che ha preso il nome da una battaglia.
Il tracciato della antica via Postumia ( fonte Wikipedia)
La strada, lasciata Genova, percorreva la Val Polcevera fino a Pontedecimo (Pons ad decimum lapidem), quindi valicava l’Appennino nei pressi dell’odierno Passo della Bocchetta. Bisogna ricordare che la strada proseguiva, anche seguendo il tracciato di precedenti percorsi liguri, per i crinali anziché per i fondovalli.
Pertanto dalla Bocchetta (o Pian di Reste) procedeva per il Monte Poggio, passando per l’odierno Fraconalto (inizialmente Fiaccone, sorto nel Medioevo, probabilmente attorno ai secoli IX-X), scendeva per il valico presso l’attuale Passo della Castagnola, frazione di Fraconalto, risaliva per il Monte Porale, e quindi scendeva verso la pianura passando per la fiorente Libarna. La meta finale di questo primo settore dell’Oltregiogo era Dertona. Proseguendo nel suo cammino, la via Postumia congiungeva Dertona con Placentia (Piacenza), inserendosi nel sistema viario costituito dalla via Emilia che proveniva da Rimini (Ariminum) già dal 187 a.C. da dove si collegava a Roma attraverso la via Flaminia dal 220 a.C. Il tratto Placentia–Dertona della via Postumia divenne in seguito parte della via Julia Augusta, costruita nel 13 a.C. per volere dell’imperatore Augusto al fine di completare il collegamento stradale tra Roma e la costa meridionale della Gallia: raggiungeva Arles passando per il trofeo di Augusto alla Turbie. La via Postumia, con qualche modifica, rimase attiva (con alterna fortuna) almeno fino all’VIII secolo sotto il controllo dei monaci della potente Abbazia di San Colombano di Bobbio, per poi cadere lentamente in disuso fino ad essere dimenticata.
La via Romea ( fonte Wikipedia )
Nel Medioevo erano chiamate vie romee (o romane, o romipete) le strade che i pellegrini percorrevano verso Roma, la città che costituiva una delle principale mete, con Gerusalemme e Santiago de Compostela, della Cristianità occidentale.
Per ovvi motivi, specialmente la penisola italiana era interessata da una fitta rete di tracciati viari diretti a Roma. Le strade più importanti erano denominate romee o romane: di qui la frequenza dei due nomi.Chi veniva da settentrione o da oriente, invece, percorreva altre vie romee, tra cui la Via Romea per eccellenza era quella che seguiva la costa adriatica, anche se da lontano, per evitare luoghi malsani o paludosi. Possiamo parlare, pertanto, di una Via Romea Nonantolana, una Via Romea della Sambuca, una Via Romea Germanica detta anche di Stade o Via Romea dell’Alpe di Serra, e altre ancora. I transiti per tutte queste vie per Roma aumentano specie a partire dal XII secolo, quando il flusso dei pellegrini romei viene sempre più alimentato dalle regioni cristianizzate dell’Europa centrale e dei paesi scandinavi.
La Via Francigena ( fonte Wikipedia )
L’itinerario romeo per i pellegrini provenienti da Occidente è la via francigena, percorsa già in epoca longobarda. La via romea francigena deve il nome al fatto che essa trova le sue origini nell’area abitata dai Franchi.
Dalla Valle d’Aosta la via raggiunge Ivrea, quindi Vercelli e Pavia; si attraversano gli Appennini tra le province di Piacenza e Parma passando per Fornovo di Taro e Berceto. Raggiunta Pontremoli, si prosegue per Lucca, Porcari, Altopascio, Galleno, Ponte a Cappiano, Fucecchio, San Gimignano o Poggibonsi, Siena, Viterbo per terminare a Roma.
In alternativa, il pellegrino, una volta raggiunta Piacenza, può percorrere la via Emilia ed oltrepassare l’Appennino in corrispondenza o di Bologna o di Forlì, raggiungendo così o la via romea della Sambuca o la via romea dell’Alpe di Serra. A testimonianza di questo percorso, si può ad esempio ricordare che la consuetudine del passaggio di pellegrini provenienti dall’Irlanda e dalla Scozia ha dato origine, già nell’alto medio evo, alla chiesa forlivese, oggi scomparsa, di San Pietro in Scotto o in Scottis.